Nella prima metà del Novecento, in Germania e Austria erano detti Ostjuden (in tedesco, "ebrei dell'Est", singolare Ostjude, aggettivo ostjüdisch) gli ebrei dei territori centro-orientali d'Europa. L'espressione aveva spesso una connotazione spregiativa e, al pari di altri epiteti denigratori di uso più risalente nel tempo, richiamava le qualità negative che il razzismo tedesco aveva attribuito agli ebrei dell'Europa centro-orientale sin dall'Ottocento. Poiché sulla figura dello Ostjude convergevano antisemitismo, antislavismo e xenofobia, l'ostilità verso gli ebrei dell'Europa centro-orientale poteva essere condivisa sia da tedeschi non-ebrei antisemiti, sia da ebrei tedeschi assimilati. Questi ultimi a volte reagivano con paura e disprezzo all'arrivo in Germania di ebrei che parlavano yiddish, vestivano diversamente, praticavano il culto ortodosso e versavano in condizioni di povertà estrema. Altre componenti del mondo ebraico tedesco furono invece affascinate dagli ebrei dell'Est, cui guardarono con simpatia e ammirazione, scorgendovi una forma di vita e di religiosità più autentica, una resistenza ai valori della società borghese o il prototipo di una identità ebraica non ancora corrotta dall'assimilazione.
La parola Ostjude circolò ampiamente nella propaganda antisemita völkisch e nazista degli anni venti e trenta, ma fu anche usata in modo neutrale negli studi di storia ebraica a partire dagli anni ottanta del Novecento. Nel mondo ebraico di lingua tedesca e in Israele, lo Ostjude si contrappone allo Yekke (o Jecke), che è lo stereotipo dell'ebreo tedesco, borghese, largamente assimilato alla cultura europeo-occidentale.